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ALEX DA CORTE, "THE DEAL"

Alex da Corte e la caducità del potere
Trump come Napoleone: lo dice Claude

Alex Da Corte, artista concettuale statunitense di origine venezuelana che si ispira alla pop art, ha presentato qualche mese fa alla galleria Giò Marconi di Milano "World Leader Pretend", 18 opere tra pitture, sculture e installazioni dedicate alla figura di Napoleone, colto nel suo momento "triste, solitario y final", quando l'imperatore, esiliato a Sant'Elena si confronta con la propria impotenza e il ricordo della passata grandezza.

Quella di Da Corte è una riflessione sul caducità del potere che si rivela molto attuale nell'odierno revival della volontà di potenza, come testimonia lo slogan trumpiano "Make America Great Again". Che non sia un'interpretazione forzata e arbitraria ce lo conferma Claude AI. Il modello di intelligenza artificiale sviluppata da Anthropic ha fornito risposte sorprendenti al nostro suggerimento di interpretare la mostra di Da Corte alla luce dell'attuale situazione geopolitica.

La mostra si apre con "The Deal", un quadro alla Roy Lichtenstein, che raffigura due mani dai contorni neri, marcati, un motivo a puntini rosa salmone e polsini bianchi su uno sfondo blu. La stretta di mano, simbolo universale di accordo e cooperazione, assume una dimensione ironica nel contesto del crescente protezionismo e sovranismo attuali. L'estetica pop, con i suoi colori vivaci e le linee nette, sembra richiamare un'epoca di maggiore ottimismo, anche nelle relazioni internazionali, creando un contrasto con la realtà contemporanea frammentata e problematica.

Il titolo stesso del quadro, "The Deal" (L'accordo), acquisisce una valenza ambigua: da un lato rappresenta la tradizione diplomatica del compromesso e della negoziazione che ha caratterizzato il periodo di maggiore influenza delle organizzazioni internazionali, dal secondo dopoguerra a ieri; dall'altro si può interpretare come una critica alle attuali trattative che spesso avvengono bilateralmente, bypassando le istituzioni multilaterali.


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Alex Da Corte, "The Fire Sermon"

I colori allegri e lo stile pop suggeriscono una nostalgia per un'epoca passata, quella della cooperazione internazionale, ormai sostituita da accordi più fragili e opportunistici tra potenze che perseguono interessi nazionali a scapito del bene comune globale. In un'epoca di crescente diffidenza tra nazioni e di indebolimento delle organizzazioni sovranazionali, l'opera può essere letta come un memento della necessità di mantenere vivo il dialogo, pur nella consapevolezza della sua crescente fragilità e complessità.

Il focus di Da Corte sugli ultimi giorni di Napoleone esplora quel momento cruciale in cui la facciata del potere assoluto si incrina, rivelando la vulnerabilità umana sottostante. L'imperatore, una volta simbolo di potenza incontrastata, si trova infine a confrontarsi con i limiti della propria mortalità e la caducità del proprio potere. Questa esplorazione della tensione tra l'immagine pubblica grandiosa e la fragile realtà privata crea un parallelo illuminante con le figure dei potenti contemporanei.

Anche nel caso di Trump, si può osservare una simile dinamica di grandiosità come meccanismo difensivo contro l'ansia dell'inadeguatezza. La sua retorica dell'eccezionalismo personale ("solo io posso risolverlo"), l'insistenza su superlativi ("il più grande", "il migliore di sempre") e la difficoltà ad ammettere fallimenti rispecchiano quel bisogno napoleonico di mantenere un'aura di invincibilità anche quando la realtà suggerisce il contrario.

La stretta di mano stilizzata di "The Deal" acquisisce così una dimensione ulteriore: non rappresenta solo accordi diplomatici in senso lato, ma anche il patto fragile tra il leader e il suo pubblico, basato sull'accettazione di una narrazione di infallibilità che entrambe le parti, a livelli diversi, sanno essere illusoria. Questo parallelo evidenzia come il culto della personalità, sia nell'era napoleonica che nell'attuale panorama politico, spesso mascheri una profonda insicurezza e come l'arroganza possa essere interpretata come un disperato tentativo di negare la propria vulnerabilità.


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Alex Da Corte, "Ballad of a white Horse"


Analizzando l'allestimento di Da Corte, emerge un'esplorazione profonda e stratificata della fragilità del potere attraverso la figura di Napoleone nei suoi ultimi momenti di vita. Le immagini mostrano un allestimento che combina elementi pop art con un'ambientazione teatrale: pareti color menta con pattern a pois, opere stilizzate dai colori vivaci, e un gigantesco "corpo" disegnato, steso a terra. Questo allestimento esprime brillantemente la dissonanza tra l'immagine pubblica del potere e la sua fragilità privata. Probabilmente "Ballad of a White Horse" rappresenta Marengo, il cavallo di Napoleone, un simbolo di forza militare ora ridotto a una figura inerte, bidimensionale.

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Alex Da Corte, "Mont Noir"

"Mont Noire", il gigantesco copricapo che occupa un'intera stanza, rappresenta la monumentalità costruita del potere, simbolo dell'autorità napoleonica che sopravvive al corpo fisico.


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Alex Da Corte, "Phantom Menace"

"Phantom Menace", con Batman colpito da un pugno invisibile, diventa metafora del leader apparentemente invincibile ma vulnerabile a minacce nascoste.


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Alex Da Corte, "Loaded Gun"

La pistola fumante ("Loaded Gun") simboleggia la violenza insita nel potere e la sua fragilità di fronte alla stessa forza che lo ha costruito (vedi il colpo di pistola sparato a Trump il 13 luglio 2024 mentre teneva un comizio in Pennsylvania).


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Alex Da Corte, "Strawberry Alarm Clock"


Il cuore rosso di "Strawberry Alarm Clock" rappresenta la dimensione umana e mortale che si nasconde dietro ogni figura di potere.


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Alex Da Corte, "World Leader Pretend"

Il titolo della mostra di Da Corte, "Word Leader Pretend", è ripreso dal titolo di una canzone dei R.E.M. in cui Michael Stipe dice: "Questo è il mio mondo e io sono l'aspirante padrone del mondo. Questa è la mia vita e questo è il mio momento. Mi è stata data la libertà di fare ciò che ritengo opportuno. È giunto il momento di radere al suolo i muri che ho costruito".

Tra le parole della canzone dei R.E.M. e l'approccio di Trump alla politica c'è un sorprendente e illuminante parallelo.

La canzone di Stipe presenta un narratore consapevole della natura illusoria del proprio potere ("finto leader mondiale") ma che continua a esercitarlo con arbitrarietà ("la libertà di fare ciò che ritengo opportuno"). Questa dualità - riconoscere privatamente la precarietà del proprio potere mentre pubblicamente lo si esercita con assoluta certezza - risuona profondamente con l'atteggiamento politico di Trump. L'imposizione di dazi commerciali arbitrari rappresenta perfettamente questa dinamica: da un lato manifesta un'espressione di potere unilaterale e apparentemente incontestabile, dall'altro rivela un'ansia sottostante riguardo alla posizione americana nell'economia globale.

Particolarmente significativo è il verso "È giunto il momento di radere al suolo i muri che ho costruito", che nel contesto trumpiano assume una connotazione paradossale. Trump è noto per la retorica dei "muri" (letterali e metaforici), ma la sua politica commerciale potrebbe essere interpretata come un tentativo di demolire l'architettura del commercio globale che gli Stati Uniti stessi hanno largamente contribuito a costruire nel dopoguerra.

In questa interpretazione, la mostra di Da Corte diventa una riflessione sulla ciclicità storica. Come Napoleone, che dopo aver ridisegnato la mappa dell'Europa si ritrovò a confrontarsi con i limiti del proprio potere, anche i leader contemporanei che cercano di ridisegnare l'ordine globale potrebbero trovarsi di fronte alla fragilità delle proprie costruzioni.

È significativo che Da Corte scelga di rappresentare tutto ciò attraverso simboli pop come Batman e un'estetica fumettistica, suggerendo che nell'era contemporanea il potere politico è inseparabile dalla sua rappresentazione mediatica e dalla sua mitologia culturale.

Claudio Cazzola
(aprile 2025)

Il sito web di Alex Da Corte

Martina Massimilla, "La fragilità del potere nella mostra di Alex Da Corte a Milano", Artribune, 6 luglio 2024

Elio Grazioli, "Alex Da Corte: Napoleone post-post", Doppiozero, 18 Giugno 2024

Elena Bordignon, "Il mondo visionario di Alex Da Corte da Gió Marconi", AtpDiary, 10 maggio 2024

Caroline Goldstein, "‘I Hope I Learn Something New’: Alex Da Corte on How He Found His Own Artistic Voice By Inhabiting Pop Culture", Artnet, 27 aprile 2023

Claudio Cazzola, machebellezza.com, "Alex da Corte: nel buio della notte risplendono i simboli della cultura di massa"

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