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Teresa Solar, Tunnel Boring Machine

Biennale Arte 2022. Cose viste e piaciute all'Arsenale di Venezia
Teresa Solar, Louise Bonnet, Elias Sime, Felipe Baeza, Tetsumi Kudo, Jamian Juliano-Villani, Mugi, Delcy Morelos, Emma Talbot

Teresa Solar Abboud – nata nel 1985 a Madrid, dove vive e lavora – ha presentato nei padiglioni dell'Arsenale la sua nuova serie "Tunnel Boring Machine" del 2022: tre grandi sculture ispirate ad animali preistorici, che ricordano chele di granchio, pinne di delfino, becchi, pale e remi. Sono oggetti che alludono a un astratto tempo remoto, invenzioni e simulazioni che fanno riemergere forme di vita rimaste a lungo nascoste. Materiali in trasformazione, sospesi tra il biologico e l'industriale, il tangibile e il mitico, che assumono sembianze zoomorfe o assomigliano ad appendici corporee. Un mondo ibrido, tra finzione e storia naturale, ecologia e anatomia.

Il sito di Teresa Solar Abboud

La pagina di Teresa Solar Abboud su Instagram


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Louise Bonnet

Louise Bonnet, artista svizzera che vive e lavora a Los Angeles dal 1994, ha esposto alla 59esima Biennale un trittico di grandi dimensioni che ricorda una pala d'altare profana, mitologica e irriverente. L'opera fa riferimento ai cicli di consumo e di scarto degli esseri umani che raccolgono e trasformano le materie prime per espellerne poi incessantemente le scorie. Bonnet afferma che i liquidi corporei in eccesso concorrono a inquinare il paesaggio ma anche a fertilizzarlo e arricchirlo.
"La sua arte è corpo: contorto, strecciato, teso, esagerato, impossibile, irriconoscibile", scrive Francesca Molteni. "Piedi giganti, mani massicce, nasi voluminosi. Intimità nascoste dietro masse di materia mettono in questione gender e sessualità. Esplora i limiti dell'umano. Scene weird, surreali, assurde, da cartoon underground. Le sue fonti sono lì, ma anche nella pittura medievale – sacrifici, orrore, dark humor – e nel surrealismo".

Francesca Molteni, "Louise Bonnet: nella sua arte, niente da nascondere", la Repubblica, 9 aprile 2022


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Elias Sime

"Veiled Whispers", ovvero "Sussurri velati", è una delle due opere di Elias Sime esposte all'Arsenale, un grande quadro tridimensionale suddiviso in due parti: a sinistra cerchi concentrici in rilievo su fondo verde con piccole figure grigie che puntano verso la parte destra, rosa e grigia, anch'essa segnata da curve in rilievo. Una sorta di paesaggio naturale, ispirato a tecniche di scultura tradizionali africane ma realizzato con materiali di recupero moderni, tecnologici.
Sime ha iniziato a interessarsi a questo tipo di materiale una decina di anni fa, dopo aver lavorato diversi anni nel campo dell'edilizia in Etiopia, dove è nato nel 1968. Nelle sue opere intreccia, stratifica e assembla componenti elettronici, come circuiti stampati, chiavi usb e cavi per telecomunicazioni, trasformandoli in composizioni liriche astratte che suggeriscono topografie, figurazioni e campi di colore. Composizioni che raffigurano la fragilità del nostro mondo interconnesso, gli attriti tra tradizione e progresso, contatto umano e reti sociali, ambienti naturai e artificiali, presenza fisica e virtuale.

"Social Sculpture: Elias Sime Interviewed by Louis Bury", Bomb, 2 dicembre 2019

Will Fenstermaker, "I Had to Fight to Show What I Could Do: How Elias Sime Emerged as One of Africa's Leading Contemporary Artists", Artnet, 25 marzo 2020


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Felipe Baeza

Felipe Baeza è nata in Messico ma vive da anni negli Stati Uniti, a Brooklin. Nei suoi lavori fonde collage, pittura e incisione per creare opere multistrato e materiche che esplorano le migrazioni, le trasformazioni, gli spostamenti e i legami dei corpi con la natura. "Per sentieri sconosciuti, per anfratti segreti, per le misteriose vene di tronchi appena tagliati" si intitola uno dei suoi quadri più significativi esposti all'Arsenale. Tralci di vite sgorgano dalla testa della figura centrale e finiscono nelle bocche delle figure circostanti, alimentandole o traendo nutrimento da esse. Un paesaggio onirico e simbolico dove trovano espressione le migrazioni e i movimenti contemporanei. I suoi "corpi fuggitivi", come li chiama Baeza, rappresentano infatti il costante stato metamorfico incarnato da un migrante omosessuale mentre attraversa i confini socialmente costruiti, siano quelli imposti dalle leggi o dai valori egemonici.

La pagina di Felipe Baeza su Instagram

Barbara Calderón, "Critic's Spotlight: How Felipe Baeza's Symbolically Charged Dreamscapes Give Body to Contemporary Struggles at the Venice Biennale", Artnet, 16 maggio 2022

Ollie Horne, "Artist Felipe Baeza on exploring themes of migration", Roadbook, 2 settembre 2022


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Tetsumi Kudo

Nel suo "Giardino delle metamorfosi nella capsula spaziale" esposto all'Arsenale, come in molte altre sue opere, Tetsumi Kudo impiega spesso colori fluorescenti per conferire un'aura high tech a forme naturali, come nel caso dei luminosi "Flowers" (1967-1968) o delle tonalità acide dei falli ritratti in "Pollution-cultivation-nouvelle" écologie (1971). Le sue visioni di un mondo postnaturale colgono il distacco ambiguo di un universo riplasmato dal desiderio umano. Nato a Tokyo nel 1935, Kudo è stato un esponente del movimento neo dadaista giapponese negli anni 50; nel 1962 si è trasferito in Francia dove ha vissuto molti anni alternandoli con lunghi soggiorni in Giappone, fino alla sua morte, avvenuta nel 1990 a Tokyo. I suoi lavori sono ecosistemi inquietanti e distopici: piante artificiali, cavi elettrici di transistor, falli in resina fusa, arti disarticolati e frammenti di corpi umani che sembrano presi da cadaveri in decomposizione o da zombie. Realizzate con materiali sintetici e in colori fluorescenti, queste opere sono definite da Kudo "maquette visive" o "modelli" della nostra nuova situazione ecologica.

Anna Battista, "The Colours of a Post-Apocalypse to Reconcile with Nature: Tetsumi Kudo @ The 59th International Art Exhibition", Irenebrination, 7 maggio 2022

Steven Zultanski, "Tetsumi Kudo's Sculptures of a Damaged World", Frieze, 21 luglio 2020


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J. Juliano-Villani

Se anche l'arte ha le sue regole, Jamian Juliano-Villani le vuole sovvertire. Le sue tele stravolgono ogni senso, convenzione e regola compositiva combinando varie figure apparentemente sconnesse, che raccoglie e assembla secondo la suggestione del momento, formando collage pittorici tramite i quali cerca di comunicare il suo messaggio. Jamian colleziona centinaia di immagini prese da riviste, libri illustrati, artisti di strada, pubblicità, cartoni animati, le carica sul computer e, grazie all’uso di un proiettore, le assembla in vario modo, ricavandone le tracce su cui produce infine le sue tele acriliche aerografate. Una rappresentazione dell'anarchia della vita quotidiana. In "Ken's Triangular Support" il messaggio è racchiuso nel QR Code al centro del quadro, che porta al sito di Ken's, nota industria alimentare statunitense di salse e condimenti.

"Jamian Juliano-Villani Artista che Sconvolge ogni Regola". Artuu, 12 marzo 2018

La pagina di Jamian Juliano-Villani su Instagram

Ross Simonini, "Jamian Juliano-Villani: Art Is the One Place Where You Should Not Censor Anything", ArtReview, 2 giugno 2021


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Mugi

Il "Viaggio attraverso la vulnerabilità"di Munkhtsetseg Jalkhaajav (in arte Mugi), nel padiglione della Mongolia, in Calle San Biasio, di fronte all'ingresso dell'Arsenale, è articolato in tre stanze, intitolate "Miscarriage", "Dream of Gazelle" e "Pulse of Life", cioè "Aborto spontaneo", "Sogno di gazzella" (nella foto) e "Impulso della vita". Installazioni fatte di sculture morbide, collage e video, che rappresentano storie di donne e animali, incarnazioni di forze invisibili, come spiriti e miti. È un viaggio attraverso il mondo intimo, fragile, ma allo stesso tempo potente di Mugi. I suoi modi di strappare, tagliare, collazionare e cucire implicano dolore, ansia, paura, speranza e pazienza e creano un linguaggio specifico con cui l'artista articola e manifesta i suoi sentimenti e le sue visioni interiori.

Il sito di Munkhtsetseg Jalkhaajav

La pagina di Munkhtsetseg Jalkhaajav su Instagram

Naima Morelli, "I’m Bringing Humanity Closer To Healing": Mongolian Artist Munkhtsetseg Jalkhaajav’s Visceral Art At The Venice Biennale, CoboSocial, 22 luglio 2022


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Delcy Morelos ed Emma Talbot

Il "Paradiso terrestre" di Delcy Morelos (artista colombiana nata nel 1967 che si ispira alle culture indigene sudamericane) è fatto semplicemente di terra. Una terra scura, compatta, ingombrante, che riempie un'ampia area del padiglione delle colonne all'Arsenale di Venezia. In teoria i visitatori dovrebbero avvertire l'odore della terra misto a fieno, farina di manioca, polvere di cacao e spezie come chiodi di garofano e cannella, e al tempo stesso percepire l'umidità, la temperatura, la consistenza e l'oscurità della materia, attraverso cui devono passare per proseguire la visita.
Sullo sfondo nella foto, si scorge il grande dipinto di Emma Talbot "Where Do We Come From, What Are We, Where Are We Going?", ispirato a una famosa opera di Paul Gauguin, "D'où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?". Realizzato in un momento di profonda crisi, una resa dei conti esistenziale nella carriera dell'artista inglese, l'opera esprime il desiderio di fuga da un presente su cui incombe la catastrofe climatica. Ma la soluzione – si chiede Talbot – può essere la fuga in un paradiso tropicale come la colonia francese di Tahiti, dove è ambientato il dipinto di Gauguin?

"Delcy Morelos. Color as exploration and meaning", ArtNexus n.47, marzo 2003

I post di Instagram su Delcy Morelos

Il sito di Emma Talbot

La pagina di Emma Talbot su Instagram

Ben Luke, "It sounds like a cliché to say you’ve fallen in love with Italy: artist Emma Talbot on her greatest influences", 26 luglio 2022

"Emma Talbot: Do You Keep Thinking There Must Be Another Way?", Ricerca del Royal College of Art, Londra

(machebellezza.com, ottobre 2022)

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