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Andra Ursuta, Predators 'R Us

Biennale Arte 2022. Cose viste e piaciute ai Giardini di Venezia
Andra Ursuta, Jana Euler, Sable Elyse Smith, Sara Enrico, Jacqueline Humphries

Andra Ursuta è nata nel 1979 a Salonta, una cittadina rumena vicina al confine con l'Ungheria, ed è cresciuta sotto l'oppressivo regime di Ceaușescu, in un ambiente ancora permeato da superstizioni medievali. I suoi primi lavori si richiamavano a questi ricordi d'infanzia, ma si è poi gradualmente allontanata dal contenuto autobiografico. Nel 1999 è emigrata negli Stati Uniti, a New York, e venti anni dopo ha acquisito la cittadinanza americana. Detesta la vita sociale e raramente lascia il suo studio di Long Island, che definisce il suo "luogo magico". La sua concezione del lavoro artistico è decisamente poco convenzionale: "Penso che l'arte sia piuttosto inutile, ma è anche per questo che è preziosa".

Nelle sue opere tende a usare materiali che a un certo punto sono fluidi prima di trasformarsi in solida pietra. Creare una forma da una non forma significa dare vita a un fenomeno ectoplasmatico. "La fluidità è una qualità importante per me", afferma. "Implica che tutto ciò che già esiste nel mondo può alla fine essere trasformato in pasta".

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Andra Ursuta, Phantom Mass

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Andra Ursuta, Half-Drunk Mummy

Forme fluide solidificate sono le seducenti e inquietanti sculture che Andra Ursuţa ha presentato alla 59esima Biennale Arte di Venezia, nel padiglione centrale dei Giardini. Spesso realizzate a partire da calchi del suo stesso corpo, queste sculture raffigurano esseri ibridi, che ricordano da un lato i film horror-fantascientifici americani come Predator e Alien, e dall'altro lato le visionarie opere di artiste dell'Europa dell'Est, come la polacca Alina Szapocznikow e la lituana Anu Põder. Sono lavori che evocano la vulnerabilità della forma umana e la complessità del desiderio. La donna semidistesa di Predators 'R Us (2020) è parzialmente priva di parti del corpo e sviluppa insolite appendici, come un paio di pantofole tentacoliformi ispirate all'alieno di Predator. In "Phantom Mass" del 2021, con le sue increspature violacee, il corpo è sempre più costretto in una posa artificiale. Elementi come corsetti puntuti, fibbie e ossa si trasformano progressivamente nei componenti tecnici di un corpo cyborg in continuo mutamento. "Half-Drunk Mummy" (letteralmente, "Mamma mezza ubrica") si rifà invece al linguaggio del porno, altro tema ricorrente nei lavori di Ursuta.

Maurizio Cattelan, "Andra Ursuta", Flash Art, 20 luglio 2015

Giulia De Sanctis, "Le sculture evocative di Andra Ursuţa", Artuu, 29 agosto 2022

Myriam Ben Salah, "Andra Ursuta", Cura Magazine n. 21


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Jana Euler, great white fear

Le opere di Jane Euler – artista tedesca nata nel 1982 a Friburgo, che vive a lavora tra Francoforte e Bruxelles – sono fatte spesso di figure umane o animali, grottesche, mostruose, contorte, erotizzate e respingenti, corpi iperbolici, raffigurati in posizioni che esprimono una carnalità fumettistica, umiliante o una vulnerabilità sconcertante.

Un punto di svolta nella carriera di Euler è stata la mostra "Great White Fear" alla Galerie Neu di Berlino: otto dipinti di squali fallici alti tre metri. Era il 2019, l'anno del movimento #MeToo, e le enormi bestie di Euler che si lanciavano fuori dall'acqua, con gli occhi che brillavano di un terrore assoluto, sembravano raffigurare l'ultimo disperato tentativo del maschio di affermare il proprio dominio.

Nel nuovo "great white fear" (scritto in minuscolo) presentato alla Biennale Arte 2022 gli otto squali giganti sono diventati 111 squaletti di ceramica bianca, alti pochi centimetri, collocati su una pedana al centro della stanza. Alle pareti due grandi dipinti di mosche realizzati con l'auto della macrofotografia: "Fly (eternity)" raffigura un esemplare risalente a cinquecento anni fa conservato nell'ambra; "Fly (moment)" invece è il primo piano di un esemplare vivo. Come a dire che il dominio dei maschio è crollato, il loro potere è svanito, e i grandi squali che incutevano terrore hanno lasciato il posto a piccoli rimasugli destinati a diventare cibo per le mosche saprofaghe. A loro appartiene il futuro.

Kristian Vistrup Madsen, "The good, the bad, and the ugly: Jana Euler’s quiet riot", Art Basel

Isabelle Graw, "Social Realism: the Art of Jana Euler", ArtForum, novembre 2012

Tenzing Barshee & Fabrice Stroun, "Portrait Jana Euler. Like a man dick?", Spike n. 60 estate 2019


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Sara Enrico e Jacqueline Humpfries

Nelle sue opere Sara Enrico (Biella, 1979) riflette spesso sul rapporto tra la superficie, o pelle, dell'oggetto e la sua forma e sostanza materiale. "Mi sono concentrata sulle relazioni tra corpo e abito, considerando la scultura come una forma fluida, ibrida, e mettendo in atto combinazioni di materiali e procedure che si riferiscono ad ambiti anche distanti tra loro", racconta in un'intervista su Exibart. "Negli ultimi anni mi interessa molto anche l'idea di lavorare orchestrando le opere in una drammaturgia oggettuale dentro lo spazio. Qui le singole presenze, già in sé stratificate e prese in un gioco di rimandi reciproci, partecipano di una visione complessiva non ancora definita, aperta a futuri sviluppi".

Le sculture presentate alla 59esima Biennale di Venezia fanno parte della serie "The Jumpsuit Theme", iniziata nel 2017 e ispirata alla famosa tuta intera a forma di T inventata dall'artista futurista Thayaht nel 1919. Un capo di vestiario simbolico, flessibile nella sua neutralità rispetto ai generi, usato come uniforme sia da operai sia da detenuti e ballerini. Le figure di Enrico sono fissate in un momento di pausa, di inattività, sdraiate sul pavimento, come appisolate o cristallizzate da un evento esterno che ha fermato i lori movimenti, come i corpi ritrovati negli scavi di Pompei dopo l'eruzione del Vesuvio. Sembrano pupazzi di stoffa, morbidi e leggeri, ma in realtà sono fatti di cemento pigmentato, versato in una cassaforma flessibile di tessuto tecnico.

I goffi pupazzi di Sara Enrico, mollemente adagiati sul pavimento, contrastano nettamente con l'astrazione tecnologica della grande tela di Jacqueline Humphries, che ricopre la parete, intitolata "omega:)". L'opera dell'artista newyorkese si ispira al concetto di rumore bianco, un particolare tipo di rumore caratterizzato dall'assenza di periodicità nel tempo e da ampiezza costante su tutto lo spettro di frequenze. Come spiega Madeline Weisburg nel catalogo della mostra, "alludendo alla volatilità delle immagini ricolme di flussi infiniti di dati, la densa materialità dei modelli stencil di Humphries opera come strumento correttivo rispetto all'idea che la nostra cultura su schermo sia puramente virtuale: è anche fisica".

La pagina di Sara Enrico su Instagram

Annalisa Pellino, "Per un’iconografia del riposo. La mise-en-geste di Sara Enrico", Flash Art, 22 Giugno 2022

Davide Dal Sasso, "Dialoghi di Estetica. Parola a Sara Enrico", Artribune, 30 novembre 2017

Paola Tognon, "Zoom Biennale #7: intervista all’artista Sara Enrico", Exibart, 24 aprile 2022

Dominikus Müller, "Jacqueline Humphries: 'I am Painting Last Paintings All the Time'", Museum Brandhorst, maggio 2019

Cecily Brown, "Interview. Jacqueline Humphries", Bomb Magazine, 1 aprile 2009

Felix Bernstein, "A Romantic and Sublime Threshold State: Jacqueline Humphries", Mousse Magazine, 30 maggio 2019


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Sable Elyse Smith, Landscape VI

Da oltre venti anni Sable Elyse Smith va a trovare il padre in carcere, dove è detenuto. Questa esperienza personale ha influenzato pesantemente l'artista newyorkese: al centro della sua ricerca c'è infatti un grande progetto in fieri dedicato al complesso industriale carcerario statunitense e alla violenza endemica contro i neri. Di questo progetto fa parte anche "Landscape VI", presentato alla Biennale Arte 2022, sesta opera di una serie di neon su larga scala con testi originali composti da Smith, che si rifà alle esperienze di artisti concettuali come Bruce Nauman, Glenn Ligon e Jenny Holzer. Tra la natura pubblicitaria intrinseca del neon e il testo di Landscape VI – una sorta di monologo interiore espressione degli effetti quotidiani interiorizzati della violenza istituzionale – si crea una tensione che dà valore e significato all'opera.

"We seem to all be standing here wrapped around this fist tonight
Licked knuckles begging it has to be the same old shit again
One street light standing like 36 Tyrones
on top of each other's shoulders. A link-n-log connection – meaning
just sitting there in each other's slots yet empty
Slack cotton t-shirt slipping down around the collar bone
I'm not even near there myself but still somehow trying to shoulder it
Push that shit up just a little longer
Raising my arms up over my head and panting"

La pagina di Sable Elyse Smith su Instagram

"Vanishing Points. Sable Elyse Smith in conversation with Sara O’Keeffe", Mousse Magazine n. 68

(machebellezza.com, ottobre 2022)

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